mercoledì 21 novembre 2012

IN RICORDO DI "ANETTI"


L’ Anetti

Si chiama Giuseppina Zanotelli, ( dei Dichi ) abita a Varollo e posso dire di sapere l’ anno di nascita, il 1924, perché la signora Giuseppina è coetanea di mia madre.
Il motivo per il quale tutti la chimano Anetti, non l’ ho mai capito, ma un giorno di questi, appena la incontro, glielo chiedo…  Anetti aveva un piccolo negozio di generi alimentai a due passi dalla scuola, al piano terreno di una casa di proprietà di un signore che si chiamava di cognome Barbera.
Intendiamoci, in confronto ai moderni negozi di oggi giorno, la rivendita della signora Anetti era un buco, ma noi scolari, ci trovavamo tutto l’ occorrente per sfamare le nostre avide bocche e anche qualche opzional, come le gomme da masticare, o “ la merda del diaol “ che altro non erano che la liquirizia in diversi formati, barrette, fili o spirali.
Quando suonava la campanelle dei 10 minuti di pausa al mattino, allora si capivano tre cose: una che erano le 10 del mattino, due che c’ era la risceazione, tre che si andava dall’ Anetti a prendere pane e gianduia.
Con 10 lire di allora, si poteva comprare un panino con una grossa fetta di gianduia, che era un  cioccolato bicolore, a due gusti, il colore chiaro era al gusto vaniglia, il colore marrone era cioccolato.  Si faceva tutti la fila, “ popi e pope “ ( maschi e femmine ), dopo una corsa per arrivare per primi, e la signora Anetti, con un grosso coltello , tagliava a metà i panini e ci metteva dentro una fetta di gianduia… Solo chi ha vissuto nella miseria nera come abbiamo vissuto noi in quelli anni, può capire il piacere di quei momenti, lo scricchiolio del pane fresco tagliato dal grosso coltello, il profumo  eccitante l’ appetito  della gianduia che lasignora Anetti ci metteva tra le piccole mani, allora non c’ erano le tante assurde leggi di oggi sulla distribuzione dei prodotti alimentari, dove pesa quasi di più la confezione che il prodotto che poi và consumato, allora tuttii si prendeva il panino srnza involucri e giù a mangiare senza fiatare fino all’ ultima briciola e poi si aveva il coraggio di leccarsi pure le dita sporche di gianduia…  Che bei tempi, quanta nostalgia…  e quanta solidarietà franca e genuina, se c’ era qualcuno che non aveva i soldi per il panino, lo diceva senza vergognarsi e qualcuno dei compagni lo si trovava sempre che ti dava un pezzo del suo, con la promessa di essere ricambiato quando ne avesse avuto bisogno.  A volte mi chiedo e quando me lo chiedo lo trovo sempre più assurdo ed ipocrita, ma possibile che ci sia bisogno della miseria, delle catastrofi naturali, delle guerre o delle malattie, per riscoprire il valore della solidarietà umana?
Possibile che tutti quelli insegnamenti della religione, tutti quei buoni propositi che faccamo da piccoli mentre ci fanno recitare le preghiere, valgano il solo tempo di una fanciullezza e non vengano presi come un insegnamento didattico come la matematica o la letteratura, che poi vale per tutta la vita ?
Quanta ipocrisia abbiamo preso in prestito per giustificare un buon motivo per non DONARE niente al prossimo !
Ogni volta che passo davanti alla porta dove , molti anni fa, c’ era il negozio della signora Anetti, assaporo sempre il profumo di pane e gianduia, che sembra uscire ancora da quella porta ormai chiusa, e faccio sempre una mia riflessione sulla figura della signora, sul suo ruolo storico ma soprattutto sulla sua grande sensibilità, bontà ed umanita, certo, noi pagavamo il panino con la gianduia, ma il fatto che la signora Anetti non sia divenuta la proprietaria di una catena di supermercati, ma che viva ora, dignitosamente , con la pensione di vecchiaia, la colloca di diritto tra le persone buone ed oneste che  io ho conosciuto in questo paese, nonostante il suo carettere forte, schietto e determinato.

(Dal racconto “Pane e gianduia” )

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